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Come i pazienti standardizzati possono rendere sociale la simulazione

paziente-standardizzato“La simulazione è un’esperienza capace di creare uno spazio relazionale “intelligente” in cui tanto più i soggetti e l’ambiente inter-agiscono spontaneamente tanto più la costruzione sociale della realtà è verosimilmente vissuta come una realtà possibile che stimola i meccanismi cognitive embodied delle persone. (Dojmi; Muzi, 2018)” 

La nostra personale visione della simulazione ci ha portato qualche anno fa a ridefinire cosa è la simulazione. In questo post vorrei affrontare qualcosa che può aumentare e rafforzare il concetto di “costruzione sociale” che affronteremo più in dettaglio in un prossimo post. 

Come possiamo aumentare l’interazione dei partecipanti con l’ambiente scenario? Come ad aumentare l’intelligenza dello spazio relazionale dello scenario di simulazione? Non mi riferisco qui a nuovi modelli di “manichini” o a tecnologie più o meno immersive ma voglio considerare il ruolo di quelle persone che normalmente chiamiamo “attori” e che possono essere impiegate nella costruzione e rappresentazione di un migliore scenario di simulazione. 

Migliore scenario uguale miglior coinvolgimento e quindi miglior vissuto da parte dei partecipanti. Ancora una volta come in altri post anche in questo articolo non parliamo di tecnologia ma di tecnica…non di simulatori ma di persone. 

Innanzitutto una precisione fondamentale: gli attori di solito soddisfano gli obiettivi di un regista e si esibiscono per l’intrattenimento del pubblico in teatro, cinema, televisione. In simulazione medica possono essere anche utilizzati degli attori per svolgere compiti educativi tuttavia, se li consideriamo “Pazienti Simulati SP, essi stanno facendo qualcosa veramente di diverso dagli attori. 

Da ora in poi in questo post non utilizzerò più la parola attore cercando di spiegarvi gradualmente il ruolo davvero speciale e “sociale” di questi  “pazienti simulati”…

Nel 1963 un neurologo di nome Howard Barrows per valutare testare le capacità cliniche degli studenti di medicina del terzo anno mentre insegnava neurologia all’University of South California, scoprì che una persona laica poteva essere addestrata a simulare una malattia e dare un feedback agli studenti sulle loro abilità cliniche e comunicative. Barrows ha chiamato questa persona paziente simulato (SP) e ha definito il termine come “una persona che è stata accuratamente istruita per simulare un paziente reale in modo così accurato che la simulazione non può essere rilevata neanche da un medico esperto”.

In più, l’ambiente sanitario di apprendimento è imprevedibile e non standardizzato e l’impiego dei pazienti simulati come opportunità di insegnare lo sviluppo delle abilità in un modo più “standardizzato” ha fatto sì che si coniasse un “quasi” sinonimo ovvero il paziente standardizzato (SP). I termini standardizzato e simulato (SP) sono spesso usati in modo intercambiabile ma si riferiscono sempre a una persona addestrata a ritrarre un paziente in modi realistici e ripetibili.

Quale è la grande rivoluzione dell’impiego in simulazione del paziente simulato/standardizzato?

Vediamo insieme le caratteristiche, gli skills, gli impieghi e i limiti di questa preziosa risorsa.

Dobbiamo iniziare a considerare i pazienti simulati come risorse a pieno titolo della faculty di simulazione. Essi, infatti, a seconda dei progetti di simulazione in cui vengono impiegati si collocano all’interno dei team educativi e partecipano al raggiungimento di determinati obiettivi di apprendimento. Essi non sono quindi da considerare come “comparse una tantum” in uno scenario di simulazione ma parte imprescindibile di esso.

I valori fondamentali e le best practice dei pazienti standardizzati sono regolati oltreoceano dalla 

Associazione degli Educatori dei Pazienti Standardizzati (ASPE) https://www.aspeducators.org/costituita nel 2001 in California. L’associazione è nata negli Stati Uniti come ente regolatorio di una attività che si è sviluppata rapidamente durante i numerosi programmi di simulazione e si è trasformata nel tempo in una vera professione anche retribuita.

L’ASPE ha effettuato negli anni un grande lavoro per definire i valori fondamentali (sicurezza, qualità, professionalità, responsabilità, collaborazione) e le best practice necessarie per assicurare la standardizzazione e garantire l’efficacia di questa speciale figura. 

L’impiego dei pazienti standardizzati durante lo scenario di simulazione permette di aumentare la fedeltà fisica e la fedeltà funzionale, mitigando l’incredulità,  migliorando il patto di finzione con i partecipanti con una azione positiva sul coinvolgimento in generale. 

Per ottenere questi risultati è necessario che i pazienti standardizzati ricevano un training adeguato che è parte fondamentale delle best practice definite dall’ASPE.

In particolare gli SP devono essere in grado di memorizzare in maniera dettagliata gli script di segni e sintomi di malattia, devono essere disponibili a sottoporsi a diversi gradi di esame fisico rimanendo attenti e coerenti durante lo svolgimento di più sedute di simulazione.

A queste capacità si aggiungono il comportamento professionale, la discrezionalità, la riservatezza.

Gli SP possono essere coinvolti anche durante il debriefing e possono anche, se richiesto dal facilitatore, fornire feedback sulle prestazioni dei partecipanti in un modo davvero speciale ossia dal punto di vista della persona che ritraggono. In altre parole essi non esprimono mai giudizi clinici  sull’operato dei sanitari coinvolti nella simulazione ma forniscono informazioni “reali” sulla base del loro punto di vista di pazienti mostrando anche il loro lato emotivo rispetto alle attenzioni che hanno ricevuto durante lo scenario.

L’interazione degli SP con i partecipanti favorisce in questi ultimi autoconsapevolezza ed empatia portando a valori alti la capacità di apprendimento delle abilità cliniche.

Essendo anche gli SP non “manichini” ma persone reali, come gli altri membri della faculty anche essi hanno bisogno di buoni livelli di sicurezza psicologica e fisica, di un ambiente collaborativo e riservato. Nei casi in cui in certi soggetti, per vissuti personali o problemi fisici, l’esame fisico condotto dai partecipanti alla simulazione possa costituire un problema psicologico, si può ovviare mediante l’impiego di simulazioni ibride con l’impiego di “manichini” per effettuare le procedure più fastidiose, passando per una nuova dichiarazione del patto di finzione con in partecipanti.

É superfluo ricordare che l’impiego di aghi, cannule, taglienti, defibrillatori veri, ecc. deve essere bandito per rispettare la sicurezza fisica durante lo scenario.

Quindi in pratica, dopo aver istruito i miei primi pazienti standardizzati come faccio ad utilizzarli senza minare la fedeltà cognitiva dei partecipanti? In altre parole come posso rendere più reali possibili per i partecipanti alla simulazione i miei pazienti standardizzati? 

Sicuramente non potrò agire alla buona come spesso può capitare di fare durante alcune simulazioni, in mancanza di risorse, in cui si utilizzano anche i membri della faculty e qualche volta i facilitatori stessi..come attori improvvisati. 

Il paziente standardizzato deve rimanere nascosto alla vista dei partecipanti prima della simulazione, immaginate ad esempio che un SP debba simulare un deficit neurologico che comprometta la deambulazione e prima dello scenario i partecipanti lo abbiano visto salire le scale a tutta velocità…In questo caso dichiararlo in un patto di finzione non basterebbe per garantire la fedeltà cognitiva dei partecipanti che sarebbe minata nel suo lato più profondo.

Entrate separate, orari di entrata separati, gestione oculata di spazi e ambienti possono essere una strategia per evitare l’insorgenza di questo bias cognitivo.

Anche la congruenza fisica dell’SP ha un peso importante durante la simulazione, immaginiamo di simulare una giovane donna con una persona anziana o un uomo con una persona dell’altro sesso. Il patto di finzione cadrebbe in un momento andando a scontrare con una incongruenza troppo manifesta facendo trasparire più un qualcosa di simile ad una recita che a una simulazione. 

Finalmente abbiamo messo le basi per il loro utilizzo nel nostro scenario, cosa ci resta da fare? Sicuramente una prova generale in cui il facilitatore e gli altri membri della faculty interagendo con l’SP possano scovare incongruenze, problemi emotivi, divergenze e lacune nella rappresentazione di segni e sintomi clinici. 

Questa fase servirà in ogni modo a perfezionare la “standardizzazione” intrapresa nei passi precedenti. E se i miei SP sono alle prime “rappresentazioni”? Gli darò compiti semplici all’inizio e sempre più complessi in seguito e se ho SP già navigati, li affiancherò a questi ultimi per imparare il “mestiere”.

Finalmente siamo pronti, pre-briefing, partenza dello scenario e…simulazione in corso! E dopo? Come vi ho già anticipato precedentemente, come facilitatore, durante il debriefing ho la straordinaria possibilità di utilizzare gli SP per dare dei feedback unici ai miei partecipanti invitando gradualmente gli SP ad intervenire se necessario durante la discussione. 

I partecipanti avranno la possibilità di conoscere in modo sicuro e ripetibile da una prospettiva unica e privilegiata cosa hanno pensato e cosa pensano i suoi pazienti riguardo alle azioni o ai comportamenti tenuti durante lo scenario. 

Le potenzialità dell’impiego degli SP sono innumerevoli ed essi possono essere impiegati per soddisfare disparati obiettivi educativi non solo nel campo delle abilità tecniche prettamente cliniche e diagnostiche come è stato all’origine, ed è ancora l’applicazione più diffusa, ma anche nel campo delle soft, non technical skills, essendo veri esseri umani socialmente interagenti che possono mostrare il “lato umano” della simulazione con un valore superiore a quello dei simulatori tecnologici che comunque possono sempre essere integrati in simulazioni di tipo ibrido. 

Provare per credere! 

Vi invito ad approfondire le fonti da cui ho liberamente tratto la parte più scientifica di questo post: 

Cowperthwait, A. (2020, May). NLN/jeffries simulation framework for simulated participant methodology. Clinical Simulation in Nursing, 42(C), 12-21. https://doi.org/10.1016/j.ecns.2019.12.009. 

Vi invito inoltre a consultare le best practice definite dall’ASPE sul sito web dell’associazione:  https://www.aspeducators.org/

Buona simulazione!

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Francesco Dojmi di Delupis

Medico di medicina di emergenza-urgenza, esperto di simulazione medica, Human Factors e Crisis Resource Management. Crede che la diffusione della simulazione medica e di un debriefing di qualità possano aumentare la sicurezza globale del paziente e degli operatori sanitari.
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  1. Leonardo ha detto:

    Molto interessante. Come appassionato di simulazione, credo che questa metodica, di complessa attuazione, sia da associare al metodo di simulazione in situ. Credo che necessiti di risorse economiche ed umani rilevanti, ma a mio parere sarebbe degna di rappresentare un progetto formativo di assoluta qualità.
    Bravissimo Francesco.

  2. Roberta ha detto:

    Come sempre innovativo !

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