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Imparare ad ascoltare per comunicare in maniera più efficace

imparare ascoltare comunicareOggi vorrei introdurre il concetto dell’ascolto attivo.

Per un facilitatore è importante saper parlare bene ma è altrettanto importante saper ascoltare bene.

Ascoltare e sentire sono due verbi che nell’uso comune vengono spesso utilizzati indistintamente ed in modo intercambiabile ma nel nostro campo hanno delle connotazioni peculiari e ben precise.

Mentre il sentire è un processo passivo, sento la sirena di una ambulanza, ascoltare è un processo attivo e più complesso, implica maggiore coinvolgimento e concentrazione, ascolto la Nona Sinfonia di Beethoven.

Saper ascoltare bene significa capire, sentire profondamente, percepire l’altro.

Si stima che durante una normale comunicazione si riescano a trattenere le informazioni per circa il 10% dalle parole e per circa il 40% dai suoni (tono e timbro della voce, ritmo, pause e accento).

Il restante circa 50% delle informazioni le ricaviamo dai segni del linguaggio corporeo.

Un esempio in tal senso, noto a tutti, è l’esperienza che si vive nelle prime fasi di apprendimento di una nuova lingua dove i suoni ed il linguaggio corporeo ci aiutano a decifrare le nuove parole ed il senso generale del discorso.

Come avviene durante l’apprendimento di un nuova lingua tutti noi abbiamo una dose di autonomia limitata per il mantenimento dell’attenzione.

Mediamente abbiamo sufficiente energia per comprendere bene solo i primi 3-5 minuti di comunicazione e il nostro interlocutore si accorgerà che non lo stiamo più seguendo attentamente se non mettiamo in pratica alcune strategie particolari di ascolto come “l’active listening”, l’ascolto attivo.

L’ascolto attivo è una delle tecniche principali per far capire ai partecipanti ad un debriefing che li stiamo realmente ascoltando, capendo sentendo e percependo. Questa tecnica permette ai partecipanti di rimanere in zona di sicurezza e percependo la nostra buona volontà di ascoltarli sono più propensi alla comunicazione, incoraggiati a parlare, con risvolti positivi sul fluire del debriefing.

Durante la fase delle reazioni ma soprattutto durante la fase della comprensione del debriefing il facilitatore è impegnato a stimolare lo scambio di informazioni tra i partecipanti ed in generale a favorire la comunicazione per permettere la fuoriuscita dei processi mentali che sono alla base delle azioni effettuate durante uno scenario e alla loro analisi consapevole.

Durante queste fasi il facilitatore deve comportarsi come un ascoltatore attivo, egli ha la responsabilità di capire il contenuto e i sentimenti del partecipante e nello stesso tempo tramite una interazione verbale e non verbale deve rassicurarlo che lo sta ascoltando ed ha capito cosa sta dicendo.

In questa delicata fase dell’ascolto possono esserci diverse barriere, la prima è quella fisica, condurre il debriefing in una zona rumorosa, di passaggio oppure essere molto a distanza dai partecipanti ad esempio dietro una cattedra influirà negativamente sul processo di ascolto.

E’ buona norma avere una zona confortevole per effettuare un debriefing, silenziosa, riparata e sicura per i partecipanti.

La disposizione seduti comodamente in cerchio intorno ad un tavolo è molto consigliata.

L’altra barriera è quella delle distrazioni.

Nella nostra era “social” altamente tecnologica, l’uso di smartphone e messaggeria istantanea è deleteria durante la fase del debriefing ed è opportuno mettere delle regole all’utilizzo.

Esistono molte altre distrazioni come persone che entrano ed escono dalla stanza o rumori di fondo o improvvisi a volte difficilmente evitabili.

Un’altra barriera subdola e pericolosa è legata al nostro carattere umano, sono le nostre barriere mentali.

Queste barriere sono i nostri preconcetti sui partecipanti, i nostri deficit e debolezze, le nostre emozioni a volte eccessivamente positive ed altre volte troppo negative sui discorsi dei partecipanti, il nostro atteggiamento critico, il nostro senso di eccessiva padronanza della situazione e talvolta quasi di “onnipotenza“.

Per evitare al massimo l’effetto delle nostre barriere mentali è necessario appellarsi al principio di fondo della simulazione in cui durante il debriefing è necessario onestamente dichiarare che tutti, partecipanti e facilitatori, sono intelligenti e ben preparati ma sono anche lì per migliorare e ne hanno sinceramente voglia facendo del loro meglio.

Questo è un patto di onestà tra partecipanti e facilitatori, molto sentito e facilmente rispettato per ragioni di cultura nei paesi anglosassoni ma che per le stesse ragioni di cultura, reduci da anni di insegnamento di tipo giudicante non bisogna dare invece così scontato nel nostro paese.

Il principio di fondo è necessario condividerlo, accettarlo, dichiararlo e richiamarlo spesso durante un programma di simulazione.

Per superare le nostre barriere mentali è necessario arrivare con esperienza ed esercizio ad essere facilitatori consapevoli e centrati.

L’ultima fase di disturbo durante il processo di ascolto sono a volte cattive abitudini e comportamenti finalizzati dei facilitatori e dei partecipanti. In questi casi è necessario riesaminare da capo il programma di simulazione con il responsabile del progetto, capire il motivo e dove c’è margine cercare di correggere questi atteggiamenti mediante defusing di gruppo o colloquio con i singoli.

Ma torniamo all’ascolto attivo, dobbiamo mostrare ai nostri partecipanti che siamo in grado di ascoltarli, ci sono diversi gradi e tecniche per rendere attivo un ascolto.

La prima tecnica è quella non verbale. Mediante atteggiamenti non verbali come una giusta postura sulla sedia, comodi ma protesi verso colui che sta parlando, mantenendo un costante contatto visivo, cerchiamo di empatizzare con il partecipante che parla, far capire di essere come dicono gli anglosassoni nelle sue scarpe o come diciamo noi nei sui panni immedesimandoci nella persona che sta parlando e provando a farsi capire. Cerca di comprendere quello che il partecipante sta dicendo evitando giudizi di ogni tipo, buoni o cattivi.

Ripeti silenziosamente nella tua mente che tu stai lì per ascoltare il partecipante e stai facendo di tutto per permettere un ascolto libero da condizionamenti e pregiudizi. Sorridi quando necessario, muovi le sopracciglia, dimostrati sorpreso, usa in maniera oculata la tua mimica facciale.

Non dimostrarti annoiato, non guardare l’orologio, non picchiettare le dita sul tavolo, non girare gli occhi in alto o fare scarabocchi con la matita su un blocco note. Ripeti internamente le parole del partecipante per svilupparne meglio la comprensione e riassumile mentalmente.

La seconda tecnica utile per l’ascolto attivo utilizza modalità verbali.

L’utilizzo della parola deve essere fatto nel modo più genuino e curioso possibile lasciando da parte scetticismo e centrandosi sui bisogni dei partecipanti.

Effettua delle brevi interazioni verbali per far capire che esisti e stai ascoltando e ancora di più per incoraggiare il discorso tipo …si?? …è vero Martina …certo …ah! ecc. Ripeti una parte di quello che il partecipante ti ha detto …quindi Martina mi stavi dicendo che il “propofol” voi non lo utilizzate nei vostri protocolli..?

Puoi usare l’interazione verbale anche per ripetere le cose che ha detto il partecipante ma con altre parole, riflettendo su quello che ha detto …quindi Martina, lasciami pensare, non avevate altre alternative terapeutiche per sedare il paziente… Un altro impiego dell’interazione verbale nell’ascolto attivo è quello di espandere i contenuti parafrasando il discorso del partecipante includendo anche cose che il partecipante non ha detto.

Puoi porre i contenuti anche sotto forma di semplici domande, ad es. Martina, bene, lasciami capire, quindi se tu avessi avuto anche la disponibilità del “propofol” per sedare il paziente ti saresti sentita più sicura?

Ti ricordo inoltre che prima di utilizzare le metodiche dell’ascolto attivo devi dare sempre la possibilità e soprattutto il tempo al partecipante di rispondere, puoi fare in tal caso un buon uso della tecnica del silenzio empatico e riflessivo in comunicazione che viene trattato più approfonditamente in un altro post.

Ci piacerebbe ascoltare le vostre esperienze su questo tema ed avere il vostro contributo sulle tecniche che utilizzate ed i risultati, saremo felici se collaboraste con noi per sviluppare e ampliare i concetti qui trattati.

Grazie per la lettura e buona simulazione!

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Francesco Dojmi di Delupis

Medico di medicina di emergenza-urgenza, esperto di simulazione medica, Human Factors e Crisis Resource Management. Crede che la diffusione della simulazione medica e di un debriefing di qualità possano aumentare la sicurezza globale del paziente e degli operatori sanitari.
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