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La simulazione: metodo di apprendimento o metodo didattico?

simulazione metodo apprendimento o metodo didatticoCi siamo lasciati circa un anno fa con la mia speranza che la simulazione divenisse il metodo di apprendimento gold standard per un’organizzazione complessa come quella sanitaria.

Con metodo di apprendimento intendo un procedimento da seguire, allo scopo di acquisire nuovi modelli di comportamento o modificare quelli esistenti, attraverso un adattamento esperienziale del professionista alla circostanza.

Quindi il fine ultimo del metodo di apprendimento lo ricondurrei ad un cambiamento migliorativo in termini cognitivi e comportamentali. Nel caso del professionista sanitario alla performance ed alla qualità delle cure offerte all’assistito.

In questi ultimi tempi ho avuto modo di “affrontare l’argomento simulazione” da un punto di vista programmatico/formativo più che organizzativo /operativo.

Mi sono resa conto, avendo una visione globale e fuori campo tipo event manager, che l’esperienza in simulazione ha comunque ampliato il mio approccio cognitivo alle situazioni.

Mi sono altresì resa conto della possibile erronea interpretazione che si può dare alla formazione attraverso la simulazione, il rischio è che diventi soltanto un metodo didattico, inteso come un metodo che riguarda le modalità di insegnamento, segregando ad un ruolo marginale il vero senso della simulazione: l’acquisizione di una qualche forma di cognizione consapevole.

Ormai è “vox populi che il “manichino” non fa la simulazione ma nello stesso tempo continua la corsa al manichino più tecnologico, che la simulazione non è addestramento ma si continua, a volte, ad assimilare le due modalità formative, che non può essere esclusivamente mono-professionale ma si assiste a continui tentativi e approcci mono-professionalizzanti, che gli istruttori devono essere “facilitatori” di cambiamento ma spesso per la varietà, la disomogeneità e la variabilità del panorama formativo l’approccio li rende qualche volta solo facilitatori di un modesto e superficiale aspetto ludico.

Offrire una sola simulazione o un numero limitato di eventi in simulazione e a un numero limitato di partecipanti senza una vera continuità temporale e soprattutto senza l’uso di un debriefing strutturato può comportare il rischio di produrre una sorta di demoralizzazione nei partecipanti che può portare nel migliore dei casi ad una inutilità del programma formativo e nel peggiore dei casi, come supportato anche da alcune evidenze scientifiche addirittura ad un danno. (Palaganas, Fey Simon: Structured debriefing in simulation based education AACN Adv Crit Care 2016 Feb;27(1):78-85).

Chi non si ricorda il senso di inadeguatezza che un po’ tutti abbiamo sentito dopo la prima simulazione, che senso avrebbe un programma di simulazione fine a se stesso, povero e incompleto? Apporterebbe secondo voi l’auspicato cambiamento tangibile e misurabile?

L’ottimismo e la tenacia devono, però, persistere, probabilmente c’è la necessità di ricondurre la simulazione al senso originario, si dice che lo scenario sia solo la scusa per effettuare un buon debriefing, momento sempre molto sentito e partecipato, forse perché è il momento in cui i partecipanti possono parlare e “nararre” il loro vissuto.

Mi chiedo, forse è proprio questo di cui al momento vi è più necessità: parlare ed essere ascoltati? Avere qualcuno “prossimo”, non più solo specchio ma anche ambasciatore dotato di ascolto e voce, a cui riferirsi sul motivo per cui abbiamo agito in quel modo, corretto, sbagliato o migliorabile che sia?

Si dice che le organizzazioni le fanno le persone …la simulazione a maggior ragione è fatta da persone, “attori” che accettano un dichiarato patto di finzione, partecipano e sono capaci di “mettersi in gioco” in un costruttivo lavoro di squadra per poi riflettere e cambiare i comportamenti e quindi indirettamente migliorare le organizzazioni.

A mio avviso, quindi i veri protagonisti della simulazione sono e devono essere i partecipanti e la loro squadra con le loro esperienze, idee e necessità.

L’auspicio è quello che i partecipanti diventino la “forza trainante” del sistema.

Un primo passo potrebbe essere quello di cominciare ad utilizzare la simulazione come strumento manageriale, anche strategico, sia di coinvolgimento che di rilevazione del fabbisogno formativo; probabilmente la conseguenza sarebbe probabilmente, la naturale riconduzione verso un metodo di apprendimento, fonte di cambiamento /miglioramento sia qualitativo che organizzativo.

Grazie per la lettura e buona simulazione.

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Rita Malacarne

E' impegnata da anni nella simulazione pediatrica e per adulti nell'unità operativa Rischio Clinico dell’ASL sudest Toscana. Crede che l'apprendimento attraverso la simulazione riduca i rischi per il personale sanitario e gli assistiti rispetto ad una formazione sul campo.
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  1. Roberta Bellesi ha detto:

    Brava Rita. Hai centrato il problema di fondo; riportare l’esperienza del complesso simulazione/debriefing al suo posto esatto. Liberarlo dalle luccicanti sirene del manchino più tecnologico a cui abbiamo assistito impotenti negli anni e ridargli l’unico senso per cui è nata ed esiste. Per farlo dovremo impegnarci a spiegare che quello di cui c’è un bisogno primario , forte e insostituibile è di bravi , onesti, certificati facilitatori e di un contesto sanitario nel quale la simulazione esce di scena come “luccicante abbaglio da esibire una tantum” ed entra a permeare il quotidiano dei processi formativi e della realtà lavorativa.

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